L’IA al servizio delle persone: la visione di Confcooperative

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 L’intelligenza artificiale non deve essere subita, ma guidata, con al centro capitale umano e valori cooperativi. Le applicazioni già avviate in agricoltura, logistica e sanità dimostrano il potenziale della tecnologia se orientata al bene comune. Le priorità individuate da Confcooperative sono chiare: colmare il gap di competenze, rafforzare la formazione continua, garantire principi etici inclusivi e promuovere la sostenibilità sociale e ambientale. Solo così la rivoluzione digitale potrà diventare un’opportunità realmente condivisa

 Francesco Milza, presidente di Confcooperative Emilia-Romagna, evidenzia come l’IA possa essere uno strumento di crescita solo se guidata da valori cooperativi e orientata al bene comune.

Presidente Milza, quali valori guidano oggi le cooperative in un contesto dominato dall’innovazione digitale?

Francesco Milza

«Le cooperative nascono e crescono su valori come solidarietà, equità e democrazia. Oggi però questi valori rischiano di essere messi ai margini in un contesto economico guidato da logiche estrattive: chi possiede più dati e capitali accumula vantaggio competitivo, le piattaforme disintermediano i rapporti tra imprese e cittadini, mentre i dati degli utenti diventano la nuova “materia prima” su cui costruire profitti.

La sfida, per Confcooperative, è riportare al centro della transizione tecnologica i nostri principi, orientando l’uso dell’Intelligenza Artificiale verso il bene comune. Non si tratta di frenare l’innovazione, ma di piegare queste tecnologie a fini che rafforzino persone e comunità».

In quali ambiti l’intelligenza artificiale trova già applicazioni concrete nel mondo cooperativo?

«Abbiamo esperienze significative in diversi settori.

In agricoltura, ad esempio, l’uso combinato di sensori IoT e algoritmi di IA consente di monitorare suolo, meteo e salute delle colture, riducendo sprechi di acqua e fertilizzanti e migliorando la sostenibilità. Un esempio è il progetto Tornatura, che stiamo sviluppando con IFAB e altri partner. Nella logistica, i sistemi predittivi ottimizzano rotte e inventari, mentre la robotica intelligente rende i magazzini più efficienti e sicuri.

Nel sociosanitario, l’IA favorisce la telemedicina e l’utilizzo di dispositivi indossabili per monitorare parametri vitali, permettendo interventi tempestivi e migliorando la qualità delle cure, soprattutto nelle aree periferiche. Queste applicazioni trovano spazio sia nelle cooperative di medici di medicina generale, sia nelle residenze per anziani gestite da cooperative sociali».

Molti temono che l’intelligenza artificiale possa distruggere milioni di posti di lavoro. Lei come la vede?

«È diffusa questa paura, ma la realtà mostra che l’innovazione trasforma più che distruggere: alcune mansioni scompaiono, altre cambiano, altre ancora nascono.

Il vero nodo in Italia è il disallineamento tra domanda e offerta, determinato soprattutto da un gap formativo. Le imprese cercano competenze che non trovano perché i lavoratori non sono sufficientemente preparati. Si crea così una frattura tra “vecchio” e “nuovo”: pochi accedono a nuove competenze, mentre molti rimangono ancorati a processi obsoleti.

Non a caso, si stima un fabbisogno di circa 2,5 milioni di lavoratori nei prossimi anni. Se fosse la tecnologia a generare disoccupazione, Paesi come gli Stati Uniti – tra i più innovativi al mondo – dovrebbero esserne travolti.

Invece mostrano tassi occupazionali molto elevati. Il tema vero resta quello delle competenze».

Quindi la formazione è la leva principale per affrontare la sfida?

«Esatto. Serve un sistema formativo più vicino alle esigenze delle imprese e capace di collegare meglio studio e lavoro. Scuole e università forniscono le basi, ma il “gioco vero” si impara nelle aziende, attraverso percorsi di inserimento più rapidi ed efficaci. La formazione non riguarda solo i giovani: anche chi già lavora ha bisogno di aggiornamento continuo, con programmi di up-skilling e re-skilling che permettano di governare l’innovazione invece di subirla.

Con NODE, il Digital Innovation Hub di Confcooperative riconosciuto dalla Regione Emilia-Romagna, accompagniamo le cooperative in questo percorso, favorendo alfabetizzazione digitale, uso consapevole dell’IA e sviluppo di una cultura di digital leadership».

E dal punto di vista etico, quali sono le priorità?

«L’IA impara dai dati che le trasmettiamo: se questi sono distorti, anche i risultati lo saranno. È quindi fondamentale che l’intelligenza artificiale rifletta principi inclusivi, capaci di ridurre le disuguaglianze invece che amplificarle.

L’Europa ha già aperto una strada importante con l’AI Act, come aveva fatto con il GDPR, e può diventare un modello per una governance globale dell’innovazione che metta al centro i diritti delle persone».

Infine, quali opportunità vede sul fronte della sostenibilità?

«L’IA può accelerare pratiche sostenibili in molti ambiti: dalla gestione energetica ai servizi di comunità, dal riuso dei beni confiscati fino all’agroalimentare. Qui la cooperazione può giocare un ruolo chiave, coniugando innovazione tecnologica e valori cooperativi”.

Qual è, in sintesi, l’impegno di Confcooperative su questo fronte?

«Il nostro impegno è chiaro: non subire il cambiamento, ma guidarlo. L’Intelligenza Artificiale deve diventare uno strumento a servizio della dignità del lavoro, della crescita delle persone e della sostenibilità delle comunità. Solo così potremo trasformare la rivoluzione digitale in un’opportunità inclusiva e condivisa, con le cooperative protagoniste di questo processo»

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Immagine di Cinzia Funcis
Cinzia Funcis

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