Il capitale umano decide la competitività delle imprese

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Il futuro della competitività passa dal capitale umano. In Emilia-Romagna le imprese devono colmare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, soprattutto nei profili tecnico-scientifici. Leonardo Figna indica la strada: più orientamento scolastico, welfare e collaborazione tra università, ITS e mondo produttivo

Presidente Figna, il capitale umano è considerato un fattore decisivo per la competitività delle imprese. Qual è oggi la situazione in Emilia-Romagna?

«Il quadro è tiepidamente positivo. Cresce l’attenzione al capitale umano e aumenta la consapevolezza delle imprese sull’importanza di investire in questa direzione, soprattutto per affrontare i cambiamenti sempre più rapidi. In Emilia-Romagna disponiamo di un capitale umano con livelli di occupazione e partecipazione al lavoro superiori alla media nazionale, con una buona diffusione della cultura tecnica e un sistema di formazione avanzato, grazie a università di eccellenza e a una rete consolidata di ITS. Dall’altro lato, resta la difficoltà a reperire figure qualificate, in particolare nei settori STEM e nelle professioni tecnico-specialistiche legate all’automazione, alla meccatronica e all’industria. È un problema qualitativo e quantitativo: i trend demografici ci impongono di guardare anche oltre i confini regionali per attrarre forza lavoro qualificata, ma anche di attuare politiche di welfare familiare in grado di invertire questa tendenza».

La doppia transizione digitale e green sta trasformando il lavoro. Quali profili professionali stanno emergendo?

Leonardo Figna

«Si sta generando una domanda senza precedenti. Da un lato data analyst, sviluppatori software, cybersecurity specialist, digital marketing manager, esperti di intelligenza artificiale; dall’altro energy manager, ingegneri ambientali, tecnici della circular economy, specialisti in efficientamento energetico e supply chain sostenibile. Accanto a questi profili altamente specialistici, cresce anche la necessità di figure tecniche in grado di tradurre operativamente queste trasformazioni. Oggi è difficile trovare persino un elettricista disponibile.

Per rispondere a queste sfide le imprese emiliano-romagnole stanno sperimentando modelli ibridi, investendo in programmi di formazione continua, spesso in collaborazione con Confindustria e con i Fondi interprofessionali, per anticipare i cambiamenti e non subirli».

Come stanno cambiando le priorità delle nuove generazioni di imprenditori?

«I giovani imprenditori hanno un livello di istruzione molto elevato, sono attenti al contesto e aperti all’innovazione, mantenendo però un realismo superiore rispetto alle generazioni precedenti. Chiediamo con forza di essere coinvolti maggiormente nei tavoli decisionali e nelle politiche che hanno impatto diretto sulle imprese. Non vogliamo subire, ma essere parte attiva del cambiamento, contribuendo con la nostra visione concreta».

Che ruolo può avere la collaborazione tra università, ITS e imprese nel promuovere nuova imprenditorialità?

«È un fattore strategico. Università e ITS sono serbatoi di competenze, ricerca e innovazione, mentre le imprese sono il luogo in cui queste trovano applicazione concreta.

Gli ITS, in particolare, grazie al legame forte con il territorio, hanno un ruolo cruciale nel trasferire competenze immediatamente spendibili. La Regione deve continuare su questa strada, sostenendo progetti interdisciplinari, start up innovative nate dai giovani e favorendo il “traino” delle imprese consolidate verso le tante PMI del territorio».

La difficoltà di incrociare domanda e offerta di lavoro è un tema ricorrente. Quali strumenti concreti servono per rendere il mercato più efficiente?

«In primis l’orientamento. Serve un investimento strutturale nell’orientamento scolastico e professionale, già a partire dalla scuola secondaria: troppo spesso i giovani scelgono percorsi senza conoscere le reali opportunità del mercato. Lo stesso vale per genitori e insegnanti. Occorrono piattaforme digitali aggiornate, eventi territoriali, testimonianze aziendali e percorsi di scuola-lavoro di qualità. Sono temi sui quali Confindustria lavora da anni, ma che richiedono uno sforzo ulteriore.

Infine, bisogna agire sull’attrattività del territorio. Nei prossimi anni i diplomati e laureati non basteranno a soddisfare il fabbisogno. Il tema del capitale umano va affrontato in chiave più ampia, collegandolo a politiche di welfare, abitative e urbanistiche».

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Immagine di Simona Savoldi
Simona Savoldi

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